Descrizione
Anticamente, il palazzo, era di proprietà del barone Macrì il quale, però, non vi risiedeva e successivamente passò alla famiglia Lucà. Attualmente non appartiene più alla famiglia Lucà, ma è di proprietà privata di gente emigrata, anche se a gestirla, solo dal punto di vista agricolo (ulivi, animali), rimangono gente del loco. Il nome "vescovado" proviene dal fatto che i vescovi di Gerace vi si recavano in estate, i quali cercavano di fuggire dal caldo afoso delle marine, per usufruire del clima temperato del paesello. La data di costruzione del palazzo non è ancora oggi nota, si può supporre tuttavia che esso risalga alla fine dell'VIII secolo, come fanno pensare la facciata principale e gli elementi architettonici che la caratterizzano (porte, finestre, balconi, ecc...). Dell'ampio giardino in cui si affacciava, oggi ne rimangono solo pochi elementi di arredo, compresa un'antica vasca circolare. La pianta della costruzione è a forma di "L" e si sviluppa a due piani: il piano terra (zona sud-est), ospitava un porticato che fungeva da soggiorno estivo con annesso un altro vano; la zona centrale era adibita a deposito di derrate alimentari; nella zona a Nord-Est, invece, si trovava un antico frantoio azionato da animali, con macina a tre pietre. Gli appartamenti veri e propri si trovavano al primo piano, dove ancora oggi si possono ammirare degli affreschi. I muri erano costruiti con pietre e malta ed intonacati con sabbia e calce. In alcune zone sipuò notare l'uso di mattoni e dei cosiddetti "carusi" o "caruselli", utilizzati per costruire i muri di tamponamento, tecnica costruttiva di particolare importanza nell'edilizia locale. Nei muri perimetrali si aprivano, a distanza di 80 cm, le buche pontaie (ancora visibili), utilizzate per sorreggere le impalcature di costruzione. nella facciata posteriore sono evidenti dei contrafforti che servivano ad irrobustire le pareti. Ad oggi, il palazzo, rimane di proprietà privata